VIGNA DEL PADRE

 

...Fin dalla mia gioventù sono un agricoltore...

(Gioacchino da Fiore, Exp., f. 175 b)

 

<< Suo padre aveva una vigna poco distante dalla sua casa, e al termine della vigna c’era un bosco molto fitto, che si estendeva fino al fiume che si chiamava Cannavino. Là c’era una lunga e larga pietra, talmente disposta dalla natura che poteva servire da inginocchiatoio e da letto per il riposo. In questo luogo solitario il giovane Gioacchino andava spesso per elevare a Dio le sue preghiere, accompagnate ordinariamente da lagrime.

I frequenti contatti col suo corpo, così puro e casto, sciolsero, per così dire, la durezza di questa pietra e ne spuntò un fiore, che come un altro “dittamo” aveva la virtù di guarire le piaghe e le diverse malattie; ciò fu presto risaputo nel paese: ma capitò che una donna dei dintorni, avendo parecchio bestiame malato, immaginò che il fiore avesse su di esso lo stesso potere che aveva sugli uomini, e, per  risparmiarsi  la  fatica  di  condurre  il bestiame, essa staccò la pianta con le foglie e i fiori e la portò con sé. Il vicinato fu così contrariato dalla perdita di questo fiore meraviglioso che il giovane Gioacchino, toccato dalla loro desolazione, si mise in preghiera in quel luogo e ne ricavò non un fiore simile, ma un liquore che produceva gli stessi effetti e che non cessò di colare, si dice, che alla fine della vita del Santo Abate>>.

 

V. Gervaise, Histoire de l’abbè Joachim, surnommé le prophéte, Paris,Giffart, 1745, traduz. di V.Napolillo.

 

<<Gioacchino da Fiore ancora ragazzo si isolò in un luogo circondato ovunque da alberi, nella vigna del padre Mauro, in territorio di Celico, confinante ad Oriente con un seminativo di tre tomolate e mezzo di capacità di semina e ad Occidente con il fiume Jovino, o Cannavino. E si sdraiava sopra una pietra grande e dura collocata nello stesso luogo e posta in declivio. Pregava Dio dal più profondo del cuore. Da tanta virtù nacque un fiore che, applicato con devozione e fede sanava le infermità e le ferite, ridando a tutti la guarigione tanto desiderata. Una donna di Celico, di nome Pacifica Ferrara, circa nell’anno 1500, aveva un asino che lavorava male per via di una piaga, per la quale aveva provato inutili rimedi che lei conosceva, dopo vedendo il fiore l’applicò sull’ulcera. L’asino guarì dalla piaga; ma dal momento che questo oggetto santo fu applicato ad esseri bruti, perse le sue virtù medicamentose (come altri esempi, ecc.) e si seccò. Da quello stesso luogo da cui il fiore proveniva, un odore di gomma, quasi di incenso, veniva ad espandersi che si sente fino ai nostri giorni da chi ha fede e grande venerazione. La vigna anzidetta è stata acquistata dal venerabile sacerdote Don Lorenzo Rodi che ancora oggi la possiede. ….>>.

 

Gregorius De Laude, Magni Divinique Profhetae Beati Joannes Joachimi..., Neapoli 1660.

 

<< Suo padre aveva una vigna poco distante dalla sua casa, e al termine della vigna c’era un bosco molto fitto, che si estendeva fino al fiume che si chiamava Cannavino. Là c’era una lunga e larga pietra, talmente disposta dalla natura che poteva servire da inginocchiatoio e da letto per il riposo. In questo luogo solitario il giovane Gioacchino andava spesso per elevare a Dio le sue preghiere, accompagnate ordinariamente da lagrime. I frequenti contatti col suo corpo, così puro e casto, sciolsero, per così dire, la durezza di questa pietra e ne spuntò un fiore, che come un altro “dittamo” aveva la virtù di guarire le piaghe e le diverse malattie; ciò fu presto risaputo nel paese: ma capitò che una donna dei dintorni, avendo parecchio bestiame malato, immaginò che il fiore avesse su di esso lo stesso potere che aveva sugli uomini, e, per  risparmiarsi  la  fatica  di  condurre  il bestiame, essa staccò la pianta con le foglie e i fiori e la portò con sé. Il vicinato fu così contrariato dalla perdita di questo fiore meraviglioso che il giovane Gioacchino, toccato dalla loro desolazione, si mise in preghiera in quel luogo e ne ricavò non un fiore simile, ma un liquore che produceva gli stessi effetti e che non cessò di colare, si dice, che alla fine della vita del Santo Abate>>.

 

V. Gervaise, Histoire de l’abbè Joachim, surnommé le prophéte, Paris,Giffart, 1745, traduz. di V.Napolillo.

 

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