Giuseppe Marinaro      

Giuseppe Marinaro nasce, da un’umile famiglia, a Celico nell'ottobre 1866. La vita gli regala molto presto e con accanimento dolore e fatica, delu­sione e amarezza; ancora bambino è costretto a confrontarsi con lacera­zioni interiori, perdita di affetti, miseria e nostalgia struggente per la pro­pria terra. All’età di nove anni è costretto ad improvvisarsi gar­zone muratore nella costruzione di strade carrozzabili nella zona di Fa­gnano Castello (CS), seminudo e scalzo, portando sulle piccole spalle pietre e calce. Dopo aver lavorato duramente, con l'aiuto di qualche libro, stu­diava il "disegno" con il sogno di diventare architetto, ma come imparare senza un maestro?

Lavorò come zolfataro, poi come caporale di muratori in Sila con il padre. Fu  quando venne chiamato al servizio militare, che lasciò la Calabria per la prima volta. A Persero, presso Pinerolo, iniziò a leggere il giornale socialista-anar­chico "Il nuovo Combattiamo". A Pavia abbeverò la sua sete di rivoluzione leggendo l'"Ottantanove", giornale anticlericale.

Congedato il 1890 tornò a Celico contemporaneamente a suo padre e suo fratello che nel frattempo erano stati costretti ad emigrare in Brasile.

Marinaro rubava quelle poche ore di sonno che aveva per dedicarle alla propaganda della causa socialista diventando uno dei pionieri del Sociali­smo Calabrese. La terra di Calabria, accanto alla notevole bellezza di pitto­reschi speroni rocciosi e ridenti marine, di manti boschivi selvaggi, crinale appenninica e idilliache campagne, porta con sé anche la minaccia "del sole che brucia quando incorube" e dell'"acqua che distrugge, quando cade" per dirla con G. Fortunato che ha saputo cogliere la Questione Meridionale sulla complessità dei suoi fattori geografici e storici, politici e morali.

Proprio in questo scorcio di storia italiana, che filtra attraverso il Mezzo­giorno povero e infelice, dove i rapporti sociali sono determinati ancora dal latifondo, dove i governi post-unitari non soddisfano la fame di Terra dei contadini, dove i baroni stanno attenti a non far progredire la società meri­dionale, dove il fascismo legalizza il sopruso, proprio in questo scorcio G. Marinaro vive la sua vita e matura la sua personalità, denunciando ed esortando, testimoniando con una vita di lavoro e di fede incrollabile sul Par­tito Socialista.

L'ansia di miglioramento per se stesso e per gli altri lo porta ad apprendere, quasi da autodidatta, la musica e il disegno che amava, sin da bambino; tale ansia lo fa  diventare Vicepresidente dell'Unione dei Minatori in America improvvi­sare giornalista, a fondare la 1° Biblioteca in Celico, vero patrimonio di cultura per il piccolo paese e  accarezzare l'idea di una Federazione delle Biblioteche popolari, di una casa del popolo di Celico, di un Medaglione di Morse per la statua del 1° Maggio. Di tutto ciò Marinaro non accarezzava soltanto l'idea, ma per tutto questo si adoperava ad accumulare fondi con suo duro lavoro. Egli costituì a Celico, nel 1891, il primo Fa­scio Socialista della Calabria e il 1° Maggio 1892, a metà strada tra Celico e Cosenza, incontrò uno dei primi apostoli del Socialismo Meridionale, il dot­tor Pasquale Rossi di Cosenza, che volle conoscere tale pioniere del Sociali­smo che guidava un nucleo di fedeli della nuova religione dell'uguaglianza sociale. Emigrò ben due volte in America, la prima fu battagliero guidatore di scioperi e ardente creatore di comizi, la seconda costruttore, creò circoli e biblioteche. A Globe (Arizona) fondò la Sezione socialista italiana ed ebbe la tessera del Partito Socialista Italiano, ma con l'arrivo delle scissioni fondò con un gruppo di finlandesi una sezione comunista. Marinaro apprese che in Italia il Fascismo aveva preso il sopravvento come un esercito che con­quista un territorio e capì che il suo dovere era quello di continuare, di­ intensificare la lotta. Divenne un antifascista convinto, voleva salvare la po­vera Italia da quel quadro di vergogna e di dolore. Ma la possibilità di co­municazione con Celico fu interrotta quando gli amici divennero timorosi, poiché la polizia vigile su quel paese, arrestava o deportava chiunque avesse contatti con Marinaro. Affidò l'incarico di raccogliere e conservare tutto ciò che aveva destinato per la Biblioteca di Celico all'Onorevole Dino Rondani, esiliato in Francia. Visse gli ultimi anni a Hanna nel Wyoming, pensando, col cuore colmo di tristezza, alle biblioteche di Co­senza, di Celico, di San Giovanni in Fiore, di Rogliano, di Paola, di Acri, di Crotone, di Catanzaro e di Reggio da lui fondate ed incendiate e distrutte dal fascismo. Scrisse ad un amico queste poche righe:

 "Ho dato all'ideale quello che ho potuto, mi resta da dargli ancora questo straccio di vita logorata da cinquant'anni di un pesante lavoro".

La famiglia invano lo pregò di rientrare in Calabria, ma egli  non volle tor­nare nella  terra in cui ciò aveva creato non esisteva più scegliendo, così, di vivere da esiliato. Passò gli ultimi anni della sua vita a nutrire pro­getti per l'avvenire con l'idea, che quelle biblioteche, dovevano sorgere in ogni villaggio per diffondere la cultura in tutto il mondo, e a queste destinò tutti i suoi risparmi.

Disse Marinaro: "La cultura è la prima difesa contro l'oscurantismo e contro lo sfruttamento. Prima condizione perché un proletario si emancipi, è che egli coltivi la propria mente."

Altro conforto che ebbe l’ormai vecchio Marinaro fu la musica, da quelle poche nozioni che aveva appreso da giovane in Calabria, dopo averle per­fezionate e ampliate, compose brani di musica pieni di sentimento come: "Libera Russia", "Mio Saluto ad Hanna", "Umano Ideale". Queste musiche, echi di dolore, canti ribelli e inni di speranza, scendono nel cuore ed esprimono tutta la vita dell'autore. Morì intorno al 1950, e le sue ceneri sono custodite tutt'oggi a Milano.